Michele Capozzi – pornologo
Il regista Michele Capozzi, nativo genovese e cittadino del mondo, pornologo, esploratore urbano, esperto di ambienti underground newyorkesi e genovesi, ha presentato lo scorso 15 marzo 2018, presso Kowalski, la sua filmografia. Tra una proiezione e l’altra ci ha deliziato con aneddoti e racconti, riportandoci ad un contesto creativo probabilmente irripetibile.
New York, intorno alla fine degli anni 70, e sino al 1986 circa, era lo Studio 54, ma anche il Mineshaft e l’Hellfire, locali BDSM, frequentati da un allora quasi sconosciuto Robert Mapplethorpe. Michele, più incline a questi ultimi ambienti, divenne amico del proprietario dell’Hellfire, dei suoi avventori, e decise di realizzare un film-documentario. Nacque così Pornology New York (2005).
Una splendida carrellata di personaggi “borderline”, magistralmente e intimamente descritti, con lo stesso regista protagonista di una sessione BDSM, schiavo personale dell’amica mistress Porsche Lynn. Il finale, poetico, in antitesi alle immagini crude del film, girato sui tetti di una New York che non esiste più, ci restituisce una visione romantica del sesso e delle sue implicazioni, affrontando considerazioni socio-politiche e culturali che inevitabilmente costringono lo spettatore ad analizzare il film da una diversa prospettiva. Tutto quanto finì, quasi improvvisamente, con le prime drammatiche morti per AIDS, un terribile male sconosciuto, che non dava scampo alcuno, inizialmente circoscritto all’ambiente gay, che si diffonderà velocemente anche al mondo eterosessuale.
Bollezzumme by Michele Capozzi
Bollezzumme (2016), in genovese indica il movimento, il ribollio del mare, altresì una sommessa confusione, tipica del centro storico. Oggi chi frequenta la “movida”, non è consapevole, per questioni anagrafico-culturali, di quanto fosse diversa, anni fa, la vita notturna dei “vicoli”. Capozzi ripercorre i luoghi della sua giovinezza, presentando allo spettatore la vita pulsante di un territorio che, se non vissuto, può superficialmente apparire come arido e spoglio.
Tutto è cambiato, i luoghi prima “gestiti” dalla mala locale, principalmente napoletani, sono ora in mano a stranieri, la prostituzione, da italiana, anch’essa è oramai appannaggio quasi esclusivo di extracomunitari. Tante attività locali sono scomparse, spesso sostituite da anonimi minimarket. Il porto merci, un tempo centro vitale della città direttamente connesso alla zona vecchia, oggi, ad esclusione dei crocieristi, non esiste più.
Al suo posto abbiamo l’Acquario, il Porto Antico, fulcro di un turismo superficiale, svogliatamente mordi e fuggi, che poco o nulla conosce della vera Genova antica. Anche i marinai che scendevano a terra dopo mesi di navigazione, desiderosi di sfogare la loro carnalità in qualche “basso” del centro storico, sono solo un lontano ricordo. Il film, girato con diversa tecnica cinematografica, ovvero alternando tradizionali riprese a una fotografia cruda, con l’uso della macchina a mano (per i cinefili citiamo Cannibal Holocaust di Deodato e successivamente The Blair Witch Project), accompagna lo spettatore, (per noi non più giovanissimi, con una certa nostalgia), nei luoghi cult, presentandoci vecchi e giovani artigiani, artisti, transessuali, prostitute, commercianti, operatori culturali.
La bravura di Capozzi consiste, al contrario di altri autori, nel renderli a noi familiari, come se li conoscessimo da sempre, eliminando sovrastrutture sensazionalistiche, spesso permeate da ideologia qualunquista e becero perbenismo. Con il trascorrere degli anni sono cambiati gli attori, ma il fascino e l’entropia della città vecchia rimangono intatti, il multietnico Bollezzumme fa sempre parte della vita cittadina, per chi vuole sentirlo e farne parte. Michele, con questa sua opera, contribuisce a mantenere viva e a diffondere nel mondo questa nostra unicità.
T.V. Transvestites (1982), di Simone di Bagno e Michele Capozzi, è un raro docufilm girato a New York, presso l’Harlem Bingo hall, 125 St., intorno agli anni 80. Possiamo ammirare nel loro splendore, unitamente ad eleganti transessuali e travestiti, le leggendarie Pepper LaBeija, Doran Corey e Sugar. Le riprese sono abbastanza semplici (siamo nel 1982), le sfilate si alternano a momenti introspettivi, primi piani di unghie laccate, trucchi, le labbra rosso fuoco e la voce narrante di Sugar che si racconta, ma il documento rimane di grande valore storico.
Le variopinte protagoniste, cariche di fard e sensualità, sfilano austere, sfacciate, davanti ad un pubblico attento e chiassoso. Un mix tra “la febbre del sabato sera” e una sfilata del Fashion Week. Nessuno poteva immaginare che questa colorata allegria, di lì a pochi anni, sarebbe stata spazzata via dalla tragedia mondiale dell’AIDS.
Il documentario, per oltre 30 anni fu considerato perduto, anche a causa di problemi legati ai diritti musicali. Il suo recupero, avvenuto intorno agli anni 2010, ne ha consentito la fruizione anche ai più giovani, i quali, non avendo avuto la possibilità materiale di vivere quei momenti, possono calarsi, seppur indirettamente, in un periodo storico estremamente creativo, vivace, sicuramente avulso dagli attuali condizionamenti e omologazioni mediatiche dell’era digitale.
© 2018 text & photos by Frank Morris